Inside | Mostra Fotografica

Sabato 10 ottobre alle ore 15.00
Chiostro di Santa Maria delle Grazie, Gravedona ed Uniti (CO)
Inaugurazione della mostra fotografica

Inside | L’ospedale Moriggia Pelascini ai tempi del Covid

Volantino mostra Inside | L'ospedale Moriggia Pelascini ai tempi del Covid | Michele Franciotta Fotografo

Tra le regioni più colpite al mondo dalla pandemia causata dal SARS-CoV-2 sul finire del 2019, la Lombardia ha visto molti dei propri ospedali cambiare improvvisamente volto e riconvertirsi in centri specializzati per fronteggiare in emergenza gli effetti dell’infezione, la malattia denominata COVID-19.

Dopo interminabili giorni di bollettini sempre più drammatici sui dati di mortalità e di accesso alle terapie intensive, verso la fine di aprile la curva epidemica comincia a farsi discendente in Italia e anche in Lombardia. Le terapie intensive lentamente si alleggeriscono, e la popolazione, galvanizzata dall’avvicinarsi della fine del lockdown, utilizzato come contenimento dell’epidemia, tira un sospiro di sollievo. Per rialzarsi definitivamente, tuttavia, serve tempo.

Nell’unità di terapia sub-intensiva per COVID-19 dell’Ospedale Moriggia Pelascini di Gravedona ed Uniti, riconvertito a ‘Ospedale COVID-19’ a marzo 2020 con eccezionale sforzo organizzativo da parte dei suoi organismi dirigenziali, prosegue il lavoro quotidiano di recupero dalla malattia. Il personale sanitario lavora senza sosta, la fisioterapia è faticosa, la riabilitazione polmonare lunga e impegnativa.

Il fotoreportage invita in 55 scatti ad affacciarsi, con discrezione, alle stanze della riabilitazione post COVID-19.

In mostra anche il progetto fotografico

PERSONÆ

Nella memoria del paziente l’esperienza ospedaliera vissuta in seguito a una malattia si lega alle persone dalle quali si è ricevuta assistenza. Ma senza volto non c’è persona – parola che in latino indicava la maschera che gli attori teatrali dovevano indossare per ricoprire un certo ruolo, ora tragico ora comico.

L’incontro umano, inteso non solo come rapporto tra operatore sanitario e paziente ma anche tra due individui, è fondamentale per una visione più ampia ed empatica della presa in carico. Questa empatia, cioè mettersi nella pelle altrui, difficilmente può nascere se dell’altro si vede solo uno stralcio tra cuffia e mascherina – dispositivi di protezione imposti dalla SARS.

Il venir meno della pienezza di questo incontro non può non avere ripercussioni nella psiche del paziente guarito, al quale risulta impossibile evocare il volto di chi gli è stato accanto durante la malattia. L’esperienza racconta di tanti malati di un’altra SARS, quella del 2003, che sono stati afflitti da disturbi psichici, soprattutto ansia e depressione post-traumatica.

Questo progetto ambisce, da un lato, a ricostruire il legame affettivo che, in assenza di barriere di protezione, si instaurerebbe di norma tra curanti e curati. La speranza è che l’immagine di volti scoperti, riallacciati alla memoria di volti coperti, possa contribuire a generare sensazioni positive in chi ha visto un paio d’occhi dentro una tuta integrale chinarsi sopra al proprio letto d’ospedale.

Dall’altro lato, ogni coppia di immagini, fuse insieme come le vocali nel dittongo del titolo, vorrebbe documentare da vicino – letteralmente – lo sforzo del personale sanitario. Su ogni volto leggiamo una costante, i segni dei dispositivi di protezione, e una serie di variabili: l’espressione di stanchezza, sollievo, concentrazione, sconforto, determinazione… Continuate pure voi.

Ogni coppia di immagini è una persona, al contempo una maschera, un ruolo, un individuo, un volto finalmente disvelato con le sue emozioni. Tutto ciò che chiede è di fermarsi, per un poco, a ricambiare lo sguardo.

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